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Free
"I
primi anni (delle Industrie Discografiche Lacerba) si focalizzano sulla
redazione delle varie uscite dell'art-magazine FREE!, elaborando un
taglio compositivo trasversale, assemblando questo oggetto dalla
struttura ipertestuale (scatola/booklet/cartoline/disco) come una
specie di contenitore in equilibrio per risonanza fra immagine e
contenuto: testi critici, poesia, mail-art, musica.
E'
attrazione verso un romanticismo
amaro,disillusorio, asciutto rappresentato con grande intensità
espressiva. L'obiettivo è la ricerca di un'apertura nella barriera
iconografica di corrente o di controcorrente che sia, tenendoci ai
margini della cultura ufficiale e distanti da quella popolare.
Esprimiamo un insofferente disinteresse nei confronti del postmoderno
di cui disconosciamo il recupero sovvertito del canone classico,
mentre lavoriamo a favore della citazione del moderno - già nel nome
Lacerba, omaggio al contesto, e nel logo ispirato ai segni di Cocteau
- ovvero una versione naive del détournement debordiano, tattica
ludica centrata sul saccheggio creativo di elementi preesistenti.
Tutta o quasi la grafica delle nostre edizioni è improntata a questo
concetto. Ricontestualizzando frammenti iconografici e ponendoli a
contrastante accompagnamento di testi e musica, otteniamo
nell'insieme un effetto a-temporale, con quella sorta di ambiguità e
complessità abitualmente associate all'arte. E FREE! riassume in se
l'idea dell'oggetto d'arte riprodotto in serie
limitata,feticcio/anti-feticcio nel momento in cui per accedere ai
suoi contenuti la preziosa confezione deve per forza essere rotta,
distruggendone così l'aura".
(Paolo Cesaretti da Frequenze
fiorentine, libro edito da
Arcana e curato da Bruno Casini)
Di seguito una bella
intervista, nel suo
complesso, di Enrico Bernardi a Paolo Cesaretti, che non riesco a
trattenermi nel ripubblicarla qui integralmente, anche se consiglio
comunque di andare sul blog di Enrico, da cui è stata tratta, sull'Amaca,
per gustarsi tutti i link che la completano alla perfezione.
Domanda: FREE, un nome semplice, diretto e facile da pronunciare
Risposta:
Free!, libero
di dire ciò che pensi ma anche gratuito. Si, certo, inizialmente è una
fanzine fotocopiata, distribuita gratuitamente. Da qui il nome. Capisco
che oggi la free press sia un fenomeno generalmente accreditato, ma
nell’81 è ancora una cosa piuttosto bizzarra, dal sapore vagamente
militante. Siamo un gruppetto di compagni di scuola che ha desiderio di
condivisione. Con grande ingenuità e aspettativa autoproduciamo una
fanzine, la distribuiamo in qualche negozio di dischi, la inviamo alle
due-tre radio di cui ci piacciono i programmi. Ne escono cinque numeri,
non credo che la tiratura abbia mai superato il centinaio di copie a
numero.

D: I primi numeri sono una fanzine tipica: fogli battuti a macchina da
scrivere, loghi, foto e disegni tagliati e incollati …
R: Un vero
atto d’amore adolescenziale per la musica. Non esiste una linea
editoriale. Semplicemente l’idea è quella di mettere insieme un
giornale che parli di rock. Gli argomenti sono piuttosto vari, le foto
ritagliate qua e là oppure scattate da noi ai concerti. Dal terzo
numero iniziamo ad entrare nel giro. Il quinto ed ultimo fotografa sul
nascere un momento in cui le cose stanno accadendo, la scena fiorentina
si sta delineando, c’è molta energia in giro, molti gruppi si formano
gli uni all’insaputa degli altri, nascono le prime conflittualità.
Distribuiamo la fanzine alle semifinali del Festival Rock nazionale; è
tarda primavera, al Casablanca ci ospita la Materiali Sonori che ha lì
un piccolo banco. Ricordo ancora le unghie smaltate di rosa di
Giampiero Bigazzi mentre mi porge una copia dell’album compilation Matita Emostatica.
D: Poi esce il primo numero di FREE stampato e con
un allegato sonoro.
R: Accade in
quattro momenti distinti.
1_I giorni a cavallo fra
il 1981 e il 1982 me ne vado a Londra e accanto al mio albergo in
Hogarth Road c’è questo strano negozio di dischi. Nel seminterrato
hanno un intero reparto di dischi quadrifonici. Mi faccio coraggio e
una sera entro, mi guardo un po’ in giro, ci sono tre clienti vestiti
di nero e i due commessi alt-punk. Non vedo in giro un disco che mi sia
vagamente familiare. I tre confabulano in italiano e mi sembrano
piuttosto esperti. Domando. Ah, anche voi di Firenze! (…) Si, vado alla
Rokkoteca Brighton (…) Noi due suoniamo e lui ha un negozio di dischi
(…) Come si chiama il gruppo?
Ho appena conosciuto i
Pankow per caso, a Londra nella sede della 4AD.
2_Estate 1982, prendo
contatto con Vittore Baroni. Vive a Forte dei Marmi con i genitori. E’
agosto, io vengo dalla spiaggia e sono in pantaloni corti, lui è
Vittore Baroni, iconico e austero come lo sarà sempre. La sua camera è
tappezzata di dischi sui quattro lati da pavimento a soffitto. E’ una
mattinata luminosa. Quattro ore in cui imparo molto. Trax-Trux, Lt.
Murnau, mail art, diy, Nocturnal Emissions, Piermario Ciani, Merzbow,
RockZero, dischi giapponesi con copertine ed etichette fatte a mano,
cassette, montagne di cassette autoprodotte, altri dischi che sembrano
esistere solo lì. E poi fotocopie, soprattutto fotocopie, alcune
addirittura a colori, collage fotocopiati, informazioni fotocopiate. E’
la prima volta che mi imbatto in un’idea di network artistico: c’è
quotidianamente tutto un mondo di scambi nella cassetta delle lettere di Via
Raffaelli 2 a Forte dei Marmi. Con Vittore discutiamo di una fanzine
stampata con un disco allegato. L’idea a lui piace, dice che mi aiuterà.
3_Qualche
mese prima, alla Rokkoteca Brighton, hanno suonato i Diaframma.
Incredibili. Di Ian Curtis non so ancora molto, ma Nicola è magnetico.
I fratelli Cicchi sono potenti e compatti. Fiumani punk dentro. La
Rokkoteca stipata, odore di fumo e sudore, luci blu e rosse, notturni
urbani proiettati sullo sfondo. Un momento assoluto. Ne scrivo su
Free!, li intervisto, vado alle loro prove, mi regalano il test
pressing del loro primo singolo. Durante l’estate girello in macchina
la sera con Fiumani. Parliamo molto, a casa sua, a casa mia. Gli
propongo la mia idea della fanzine con il 45 giri split allegato. Al
telefono Federico mi dice: va bene, a patto che sull’altro lato ci
siano i Pankow o i Neon, nessun altro gruppo. Una visione precisa della
collocazione dei Diaframma. In realtà mi spiazza perché avrei voluto
inserire sull’altro lato Romy dei Polyactive, che a mio avviso è un
gruppo di grande qualità ma sottostimato, ma mi fa anche felice perché
per me Pankow e Neon sono irraggiungibili.
4_Infine: una
sera d’ottobre dello stesso anno, in una cantina di Via Giusti a
Firenze. Sono per la prima volta negli studi Polar SSS, dentro il mondo
dei Pankow. Un mondo misterioso, come i loro bellissimi manifesti
apparsi in giro in città, fondo bianco, immagine astratta in grigio,
alternanza di caratteri cirillici e neoclassici. Scelte formali e di
linguaggio lontane anni luce dalla tappezzeria multicolore che
troneggia sui muri di una città italiana all’inizio degli anni ottanta.
Spiego a Fasolo la mia
idea, la fanzine organizzata a schede, stampa in offset ma con gli
impianti fotocopiati su acetato per contenere i costi, la confezione
sigillata. Gli mostro una bozza della copertina. FREE – un tutto
maiuscolo che renda il nome più grafico e meno banale, senza il frivolo
punto esclamativo finale – 8212 – suggestione sistemica da produzione
in serie, in realtà solo anno e mese, codifica ispirata alle
realizzazioni di Trax.
Il primo numero di FREE
nuova serie lo realizzo con Maurizio, che gli imprime un’identità
visiva, ne detta le linee guida. I Diaframma e i Pankow registrano due
brani inediti. Vinile blu o vinile nero? Nero certo, non stiamo
realizzando un gadget. Le etichette del disco sono stampate su di una
carta troppo sottile e si rompono in fase di incollaggio. Alla fine le
copie consegnate sono 453. Troviamo una sarta che ci confeziona 450
buste di plastica. Di sera alla Polar SSS assembliamo schede e disco
nella busta. La sarta poi sigilla il tutto.

D: IDL – Industrie Discografiche Lacerba
nasce in contemporanea con il nuovo corso di FREE? L’etichetta poi
produrrà molto materiale, indipendentemente da FREE.
R: Il disco in
vinile è un oggetto assoluto. Include emozione, informazione, piacere
tattile e visivo. E’ suono e superficie, almeno due lati di vinile e
due o quattro o più supporti quadrati di carta da utilizzare. Offre
ampie possibilità di sperimentazione e variazione sul tema. Produrre un
disco significa emozionarsi ogni volta che arrivano gli scatoloni con
l’oggetto finito. E’ inevitabile che succeda. C’ è troppa energia in
giro per non cercare di fermarla, rappresentarla, diffonderla. Industrie (di nuovo il fascino dell’aspetto
seriale e di un certo immaginario urbano) Discografiche (nessun equivoco, facciamo quei
bellissimi oggetti) Lacerba (le avanguardie storiche, l’anno zero
della rifondazione novecentesca delle arti. Un riferimento caro a tanta
parte del post-punk). In fondo il nome, questo nome, è anche un gioco
non privo di ironia.
Industrie Discografiche
Lacerba nasce come editore di FREE ma si sviluppa come work in progress con una riformulazione costante del tema
e degli obiettivi. Inizialmente, oltre a FREE, IDL produce libri,
eventi, collezioni di moda pret a porter. In seguito il progetto si
evolve più marcatamente verso la produzione discografica continuando a
tracciare una strategia che leghi il contesto in cui opera ad un
panorama internazionale d’idee. Questo porta alla realizzazione delle
produzioni di Minox e Rinf nei rispettivi ambiti d’influenza –
Bruxelles con Steven Brown e Gilles Martin per i primi, e Londra con
Adrian Sherwood per i secondi – e, al contrario, a far incidere a
Steven Brown – americano d’origine ed europeo per scelta – un’album
tributo a Luigi Tenco. Con la stessa idea di sovrapposizione topologica
disegnata su rotte invisibili Industrie Discografiche Lacerba ottiene
per alcune settimane un posto nella TOP20 indipendente inglese con
“Night Train” dei Dub Syndicate.
D: Gli aspetti che mi hanno colpito di FREE sono
l’alta qualità degli articoli scritti, la forma grafica originale e i
temi non sempre legati alla musica. Gli articoli, forse è riduttivo
definirli così, sono dei piccoli saggi o analisi critiche sulla musica,
sul cinema o addirittura sul fumetto. Tu coordini e scrivi, però ti
avvali anche di alcuni giornalisti e musicisti, come Vittore Baroni o
Alex Spalck dei Pankow…
R: Il taglio
degli articoli vira dalla cronaca alla elaborazione critica nel momento
in cui passiamo da un foglio d’informazione e immediata condivisione
della scena locale ad un progetto più complesso – che oltretutto
richiede un processo produttivo molto più articolato e lungo. Spesso il
pezzo scritto diventa meno funzionale e maggiormente espressivo. I due
estremi sono probabilmente proprio Baroni e Spalck. Il primo indagatore
analitico e completista, l’altro narratore immaginifico.
Il progetto che va
delineandosi si deve confrontare con iniziative
similari. Punto di riferimento oltre alle edizioni di Trax sono Sordide
Sentimental e la seminale cassetta compilation+booklet di Les Disques
du Crépuscule From Bruxelles
With Love. Quest’ultimo è un
oggetto che non sposa l’approccio filosofico “alto” di Sordide
Sentimental ma si propone come espressione della ricerca di un’estetica
pop. Crépuscule è un progetto colto che utilizza il pop come
linguaggio. Questa è la nostra collocazione. Vogliamo fare o almeno
partecipare ad una rivoluzione estetica. Cerchiamo un nuovo rigore
formale dopo gli anni della libertà espressiva a tutti i costi. Le
nostre pubblicazioni parlano di questo senza parlarne esplicitamente ma
lasciando spazio alla ricerca grafica e musicale, donando ai testi il
ruolo di riflessione e costruzione di uno scenario, utilizzando
l’oggetto assemblato come media. Non possiamo e non vogliamo fare
informazione piuttosto costruire o contribuire ad una scena, ad un
progetto estetico ed emozionale.
La politica
non ci interessa: l’estetica politica è profondamente ancorata agli
anni settanta. Quegli anni settanta che in Italia sembra non debbano
mai finire. Gli anni che dividono i ragazzi in freak e discotecari. E
poi abbiamo vissuto la nostra prima adolescenza nel periodo del
terrorismo. Ogni attività politica è vista con sospetto e rifiuto.
Ci interessa piuttosto
una certa idea di cooperazione, di primordiale network che unisca
realtà affini. E questo avviene rapidamente. Insieme o appena dopo FREE
nascono altre pubblicazioni che sposano in maniera istintiva un certo
tipo di estetica e una visone trasversale dei temi da trattare. Cito a
memoria Dancing Silhouettes di Paola Trimboli e Filippo Rizzi e la
bellissima e colta Nero di Marco Formaioni. Schede, musica allegata,
argomenti non solo musicali diventano il tratto distintivo di The
Scream di Massimiliano Busti.
D: Hai citato alcuni “colleghi”
fanzinari, in che rapporti sei con loro? Parlami un pò di più del loro
lavoro.
R: Di solito è un
rapporto che si basa sulle affinità e sullo scambio reciproco. Il fatto
che FREE si presenti così
diverso da quello che è il panorama corrente dell’editoria indipendente
richiama su di noi l’attenzione di chi possiede una sensibilità
assimilabile alla nostra. Quotidianamente arrivano per posta notizie di
iniziative editoriali sotterranee da altre città italiane ed europee.
Con alcuni si instaurano bellissimi e duraturi rapporti epistolari.
Penso a Paola Trimboli e a quanta intelligenza c’è nelle sue lettere.
Messina è lontanissima eppure, forse proprio per questo, Dancing
Silhouttes e i Victrola sembrano vivere di una luce diversa, distanti
da tutto, anche da un certo conformismo. Ma mi scrivono ripetutamente
anche personaggi bizzarri e deliranti come ad esempio Blu Schizofrenico
alias Carlo Antonelli attuale direttore di Rolling Stone. Nascono
collaborazioni con Daniele Ciullini per la sua Nouances, con Tribal
Cabaret di Alessandra Giombini e VM di Alessandro Limonta, entrambe
fanzine dotate di un’identità propria, che puntando sull’allegato
sonoro fotografano un momento di evoluzione della scena musicale
indipendente nazionale. Infine Marco Pandin, ammirevole per la
determinazione e concretezza con cui porta avanti il progetto
Rockgarage. Sebbene le nostre ragioni, modalità e obiettivi siano
diversi ci teniamo costantemente in contatto scambiandoci informazioni
e progettando sinergie. Marco produrrà No Inzro dei Degada Saf che, insieme al primo
album dei Plasticost, rimane uno dei dischi più interessanti e meno
allineati del periodo.
D: La scelta degli articoli da pubblicare o da
suggerire per la pubblicazione come avviene?
R: In questo c’è una
grande libertà. Ognuno può parlare di ciò che vuole, rimanendo
sicuramente in sintonia con il progetto generale. Tutto accade in
maniera piuttosto naturale. E’ un gruppo di persone per cui nutro una
grande stima, persone curiose piene di interessi condivisi. Casomai nei
quattro numeri di FREE si assiste ad un graduale cambiamento di
“umore”, da regesto della cultura gotico/industrial a progetto tematico
in netta antitesi con quell’immaginario che ormai è diventato
fortemente codificato. Inesorabilmente il numero delle pagine si
assottiglia e, quella che a questo punto si fa fatica a definire
fanzine, diviene un oggetto composto da una scatola, un booklet, un
disco, alcune cartoline.
D: La grafica poi di FREE è bellissima ed
originale, pensata poi a contenere un “oggetto”.
R: FREE è nel suo
insieme un progetto che opera in un’area che potremmo definire di
sovversione del prodotto culturale. Ovvero il prodotto non esiste più
come “distrazione” che impone all’individuo le sue logiche, ma è
qualcosa da esplorare e con cui interagire. Non è più intrattenimento o
arte piuttosto una miscela di entrambe. FREE, elabora un taglio
compositivo trasversale, oggetto dalla struttura ipertestuale (scatola
/ booklet / cartoline / disco) assemblato come un contenitore in
equilibrio per risonanza fra immagine e contenuto: testi critici,
poesia, mail-art, musica. L’obiettivo è la ricerca di un’apertura nella
barriera iconografica di corrente o di controcorrente che sia. FREE e
Industrie Discografiche Lacerba sono espressione di un insofferente
disinteresse nei confronti del postmoderno di cui disconosciamo il
manipolato recupero del canone classico, mentre ci affascinano il
movimento moderno e le avanguardie storiche – di nuovo, il nome Lacerba
e il logo ispirato ai segni di Cocteau. Tutta o quasi la grafica delle
nostre edizioni è improntata a questo concetto. Ricontestualizzando
frammenti iconografici e ponendoli a contrastante accompagnamento di
testi e musica, otteniamo nell’insieme un effetto a-temporale, con
quella sorta di ambiguità e complessità abitualmente associate
all’arte. E FREE riassume in se l’idea dell’edizione d’arte riprodotta
in serie limitata, ma è anche feticcio/anti-feticcio nel momento in cui
per accedere ai suoi contenuti la preziosa confezione deve per forza
essere rotta, distruggendone così l’aura.
D: Il tema grafico varia ad ogni numero.
R: Fasolo si occupa dei
primi due numeri. Lavora in maniera istintiva, in costante bilico fra
estetica industriale e classicismo, influenzato dal Saville dell’epoca.
Trovo brillante come riesca ad elaborare soluzioni inedite nell’uso
delle immagini. Nel primo numero si impegna a dare coerenza a materiali
incoerenti poiché graficamente prodotti da ognuno di noi. Nel secondo
numero il suo lavoro è più chiaro e completo. Riesce a progettare il
numero per intero o quasi, e il risultato complessivo è a tratti
sorprendente. Dopo FREE8303 avviene la rottura con Fasolo e Spalck. I
motivi oggi fanno sorridere, ma all’epoca sembrano insormontabili. Il
progetto visivo di Industrie Discografiche Lacerba passa a Lapo
Belmestieri, che con le proprie intuizioni ne segnerà da lì in avanti
l’identità. Identità per cui Industrie Discografiche Lacerba diventa un
piccolo caso nel panorama indipendente italiano ed europeo. Lapo ha una
sensibilità diversa da Maurizio. Avverte e si appropria del continuo
mutare della cultura visiva dell’epoca. Ha molteplici punti di
riferimento. Mescola i generi e i linguaggi. Usa tecniche miste.
Inizia così un lungo
periodo di lavoro in tandem, io mi occupo di contattare, coordinare,
scrivere, Lapo di creare l’immagine. Insieme elaboriamo scelte e
strategie.

D: Paolo, allora spiega un po’ quali strumenti
usate, tu e Lapo?
R: Lo strumento
principale è un’ispirata decontestualizzazione. Ovvero una versione
naive del détournement situazionista, tattica ludica centrata sul
saccheggio creativo di elementi preesistenti. Utilizziamo immagini
recuperate da fonti varie con l’obiettivo di creare, insieme ai testi e
alla musica, un originale “contesto emotivo”. Lapo è decisamente
talentuoso nell’accostare e/o sovrapporre e/o contrapporre il disegno e
la pittura alla fotografia, procedendo parallelamente ad una propria
personale ricerca sugli effetti della manipolazione delle font. Le
tecniche sono ovviamente analogiche. Macchina da scrivere, nastro
magnetico, carta colla e forbici. L’errore e l’imperfezione fanno parte
del gioco. E’ puro artigianato.
D: Parliamo un po’ delle interviste , come
avvengono? Dopo i concerti o andando a trovare i musicisti? Dai
racconta …
R: In realtà l’unico
numero che riporta delle interviste è FREE8303, in parte utilizzate
come frammenti e citazioni. Il numero esce dopo un breve soggiorno a
Londra. Partiamo con un elenco di contatti forniti da Baroni e altri.
Visitiamo, intervistandoli, Chris and Cosey, gli SPK e i Nocturnal
Emissions. Convinciamo gli Schleimer K a darci un brano per il singolo.
Consegniamo una copia di FREE8212 alla segretaria di John Peel, che ci
assicura il passaggio radiofonico, e Rough Trade ce ne compra ben
cinque copie. D’altronde la fanzine non è tradotta in inglese, lo sarà
solo in seguito, e il singolo è uno split di due band italiane
sconosciute.

D:
E’ anche così che prendi contatto per pubblicare dei brani di
musicisti? Che poi sono sempre inediti. Le registrazioni come arrivano?
Hai carta bianca?
R: Il mio lavoro di
giornalista per Rockerilla e altre testate mi porta a conoscere
personalmente tanti gruppi. Però, inaspettatamente, funziona meglio il
contatto tramite posta. Infatti i brani promessi da Section25, Durutti
Column e Virgin Prunes, concordati di persona dopo un’intervista, si
perdono nel mare di lettere e solleciti inviati. Mentre un bellissimo
brano come Leaving dei norvegesi Fra Lippo Lippi arriva
dopo un breve scambio epistolare. Di lì a poco il gruppo firmerà per la
Virgin inglese diventando icona del pop anni ottanta in mezzo mondo.
Sì, il materiale è
sempre inedito e solo successivamente viene ripubblicato. L’unico brano
che non ha mai visto la luce in una diversa edizione è Whiter dei Pankow. Cerco di abbinare gruppi che
siano in sintonia con il tema sottinteso del numero in preparazione. Ma
come capirai molto è dovuto anche al caso. Ognuno dei singoli split ha
una sua storia, per non parlare dei singoli mai pubblicati per
vicissitudini varie.
D: Sono rimasti dei numeri di Free da pubblicare?
Se si, perché?
R: Ci sono almeno due
numeri che non vedono la luce. Sono solo idee abbozzate. FREE1984
avrebbe dovuto essere più ricco, con allegato un 10” invece del solito
singolo. Questo formato di transizione fra il singolo e l’album ci
affascina. Abbiamo già Portion Control, Die Form e Rinf. Nel frattempo
arriva un brano di Coil The
sewage worker’s birthday party
che sarebbe stato incluso nel loro album di debutto in una versione
leggermente diversa, e un bel brano solo strumentale di Twin Vision,
spin-off degli SPK. Per completare il mini- album contiamo su di un
brano dei Virgin Prunes che non arriverà mai. Credo che alla fine non
ce la siamo sentita di investire su di una edizione ancora più costosa
delle precedenti senza avere almeno un nome di forte richiamo. Il tempo
scorre e decidiamo di proseguire sulla strada dell’EP singolo,
lasciando indietro il brano di Coil che non ci convince e che non è
realmente inedito. Geff Rushton non ci perdona questa approssimazione e
mi scrive una lettera dai toni incandescenti quando esce
FREE1985sect.2. L’altro episodio è un numero che avrebbe dovuto fare il
pari con FREE1985sect.2.
Pensiamo
ad un
numero
ispirato all’immaginario infantile. Vini Reilly, dopo una lunga
chiacchierata, mi confida con il suo abituale candore che un intero
album di Durutti Column per Factory Benelux è rimasto inedito e che
potrebbe darmi uno di questi brani.Lapo contatta Virna Lindt. Siamo
entrambi conquistati dall’immagine e al suono della Compact
Organization. Un lavoro molto preciso su di una certa estetica pop. Ci
riproveremo anche più avanti con Tot Taylor per IDL Pop Classics. Virna Lindt ha all’attivo Shiver un
album
strano, stiloso e fuori dal tempo. La segretaria della Compact ci
risponde che Virna, per modica cifra, ci potrebbe dare la versione
alternativa di un brano che verrà pubblicato sul suo prossimo album Play/Record.
Durutti Column+Virna Lindt: non se ne fa di nulla. Un progetto più
impegnativo sta dirottando le nostre energie: Lazare dei Minox, il
nostro primo vero disco.
Nei sei-sette anni di vita di IDL i
progetti rimasti sulla carta sono molti. In quest’ottica IDL è di fatto
quasi pura speculazione teorica in quanto è maggiore il numero dei
progetti archiviati – a volte ad un passo dalla realizzazione –
rispetto a quelli che effettivamente vedono la luce. In una storia di
quanto rimane stritolato nei meccanismi della nostra indolenza e
dell’inefficienza distributiva ricorderei un’intero album di Minox con
Blaine Reininger prodotto da Gilles Martin, un EP di Catherine Deneuve
che interpreta canzoni di Gainsbourg, la brillante serie IDL Pop Classics e l’EP Wyndham Lewis degli Ultramarine, edito poi da Les
Disques du Crépuscule, poco prima che questi diventino protagonisti
della nuova elettronica minimale accompagnando Bjork in una trionfale
tournee americana. Infine il canto del cigno di IDL: la già confermata
e non avvenuta collaborazione di Minox con Sakamoto.
D: FREE e la parte
commerciale: come ti sei organizzato con i distributori e i negozi?
R: La distribuzione è il
vero, grande, irrisolvibile problema. Per un paio d’anni è un lavoro
porta a porta: copie in conto vendita, annunci sui giornali, una
manciata di sottoscrizioni e abbonamenti. Un vero disastro. Poi, come
spesso accade, interviene il caso. Nel luglio del 1984 a Firenze si
tiene il primo Independent Music Meeting. Un giovane discografico belga
di belle speranze è in vacanza in Toscana. Viene a sapere del Meeting.
E’ uno dei rari visitatori paganti. Arriva al nostro stand dove, fra
abiti esposti e dischi incorniciati, effettivamente non si capisce bene
chi siamo e di cosa ci occupiamo. Domanda, si incuriosisce, ascolta la
prova di stampa dell’EP allegato a FREE1984setc.1. Vuole acquistare
tutta la tiratura di 900 copie. E anche le rimanenti 150 di FREE8303.
Io non ci credo. Siamo talmente abituati e non vendere mai più di
cinque copie per volta che sentiamo puzzo di fregatura. Stiliamo e
firmiamo un contratto seduta stante. Kenny Gates sta fondando PIAS Play
It Again Sam che diventerà nel giro di pochi anni il più importante
distributore europeo di musica indipendente. Le cose cominciano ad
andare meglio. Ora ci possiamo dedicare a progetti più ambiziosi.
D: La stampa ufficiale come vede FREE? Hai contatti
con le redazioni o i giornalisti?
R: La stampa generalista
ci liquida come un fenomeno di costume. La stampa musicale invece è
rappresentata da noi stessi. Vittore è capo redattore di Rockerilla, io
e Pandin scriviamo sulla stessa testata. Federico Guglielmi del Mucchio
Selvaggio è un instancabile promotore della cultura indipendente e
sotterranea quindi parteggia istintivamente per iniziative come la
nostra. Buscadero, Fare Musica, Rockstar sono mondi lontani ancorati ad
un mercato morto e sepolto. Red Ronnie debutta con il deludente
TuttiFrutti, primo episodio del suo incoerente ma duraturo lavoro a
favore di un certo eclettismo pop spettacolare. Per la stampa nazionale
di settore è decisamente un momento di transizione. Riceviamo maggiori
attenzioni dai potenti settimanali musicali inglesi. Dave Henderson di
Sounds ci contatta, vuole sapere cosa facciamo, vuole scrivere di noi.
D: C’è un numero a cui sei particolarmente
affezionato?
R: Sono affezionato
all’idea complessiva di Industrie Discografiche Lacerba. Segnalo a chi
ci legge che all’epoca siamo non ancora ventenni. Oggi me ne stupisco.
Mi piace pensare che queste produzioni rappresentino il microscopico
tassello di un momento zero della nostra cultura giovanile. Mi fa
sorridere l’ingenuità che a tratti ne emerge. Ma l’autorevolezza di
questo come di altri progetti a così tanti anni di distanza è forse
dettata proprio dalla convinzione che anima le nostre azioni di allora.
I
quattro numeri di FREE sono uno differente dall’altro. FREE8212 segna
la transizione da fanzine a qualcosa di diverso, è l’atto fondativo, ma
è ancora un ibrido. FREE8303 ha già un’identità definita, è ben
sviluppato e completo da tutti i punti di vista. FREE1984sect.1 è di
nuovo un momento di passaggio, verso FREE1985sect.2 che abbandona
completamente l’idea di fanzine in favore dell’oggetto contenitore. Questo accade in quattro anni. La
tiratura cresce da 450 a 2.400 copie.
D: Perché decidi di smettere?
R: Produrre FREE è un
grosso sforzo in termini organizzativi ed economici. Altri progetti
sembrano più urgenti e interessanti. Ovvero il desiderio di fare il
salto di qualità, da fanzine a etichetta discografica. Kenny Gates di
PIAS, nostro distributore europeo, me lo rimprovera: avremmo dovuto
continuare.In realtà è finita anche per un altro motivo. Quel periodo è
per noi una
prima assoluta, tutto è proiettato verso il futuro, tutto accade
velocemente ed instancabilmente, è un vortice elettrico, due anni
significano un’immensità di tempo. Nel 1981 la musica è ancora
sorprendente, già nel 1986 la fiamma si sta spegnendo.
Mi chiedo spesso che fine abbia fatto tutta quella energia. Mi
interrogo
sugli adolescenti di oggi, quelli che ho a portata di mano mi offrono
una campionatura di buon livello. Oggi i ragazzi attingono al passato,
usano repertori di trenta anni fa, uniscono stili, creano un linguaggio
di frammenti, decontestualizzano e reinterpretano. Hanno però un
atteggiamento passivo verso questa attività. Non innovano e raramente
escono dagli schemi. Serenamente rassegnati ad un quotidiano perpetuo,
fatto di stimoli senza peso, di desideri immediati e rapidamente
deperibili. Forse è davvero questo il NOFUTURE urlato dal punk, ed è
arrivato trenta anni dopo, ma ora è stabile e radicato. E mi rendo
conto di quanto fosse difficile per noi diffondere e reperire le
informazioni, di quanto fosse impegnativo mettere su una rete di
contatti, trovare una distribuzione alle cose che facevamo, mentre oggi
con internet e i social network tutto questo è veramente facile e
possibile. Ma poi capisco che gran parte del fascino di quel periodo è
proprio l’alone di mito creato dalla distanza in cui si sviluppavano le
diverse scene. E le scene vivevano di questo mito, chi ascoltava un
certo tipo di musica era un carbonaro, un diverso, uno strano che
frequentava altri strani in luoghi anch’essi strani. E questo era
bellissimo, era affermare la propria indipendenza, le proprie scelte
che differivano da quelle dei nostri genitori, della massa dei nostri
compagni di scuola che ascoltavano Baglioni o l’onda lunga dei
cantautori.
Una rivoluzione silenziosa.
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